Castelli e rocche

Giovanni Nicola
Giovanni Nicola
Castelli e rocche

Visite turistiche

Castello di Frontone
Distanza Furlo - Frontone 22km - 25” Situato tra gli antichissimi centri di Cagli, Luceoli, Gubbio, Sentino e Suasa, sotto il Monte Catria, il territorio del Comune di Frontone è stato abitato fin dai tempi più remoti; Umbri, Galli, Romani, Longobardi e Franchi si susseguirono nel corso dei secoli e degli ultimi tre popoli si hanno testimonianze indiscusse del loro insediamento nel territorio di Frontone. I primi documenti che parlano del Castello e della Comunità civile di Frontone risalgono all’undicesimo secolo e la sua storia è legata a quella delle signorie di Cagli, Gubbio e Urbino. Nel 1530 il Castello ed il territorio di Frontone divenne contea del Ducato di Urbino, dono di Francesco Maria Della Rovere al nobile Gianmaria Della Porta e tale rimase fino alla abolizione delle giurisdizioni feudali per effetto dell’annessione al Regno d’Italia napoleonico (1808) abolizione poi rinnovata da Papa Pio VII (1816). Il Castello, possente costruzione arroccata sulla cima di un ripido colle, testimonia ancora un passato ricco di storia e nobiltà. Reperti archeologici attestano che questo territorio fu abitato dagli Umbri, Galli e Romani (295 a. C.); poi dai Longobardi e successivamente dai Franchi come testimoniano le preziose pergamene dei monaci Avellaniti e Camaldolesi. La storia di Frontone è legata soprattutto al suo Castello, conteso da principi e da guerrieri per il dominio delle contrade circostanti e che oggi rappresenta uno dei più chiari esempi di architettura militare dell’XI secolo. Per lunghi periodi dovette sottostare alla giurisdizione di Cagli e poi a quella di Gubbio. Dal 1291 al 1420 i veri signori di Frontone furono i Gabrielli di Gubbio. Spodestata la signoria dal Conte Guidantonio di Urbino, Frontone s’inserisce, per oltre un secolo, nella storia dell’illustre famiglia dei Montefeltro e di quella dei Della Rovere che le succedette nel possesso del Ducato di Urbino. Nel 1445 Sigismondo Malatesta di Rimini in guerra contro il Duca Federico da Montefeltro, tentò di togliergli il Castello, ma il personale intervento del duca Federico mise in fuga i Malatesta. Fu probabilmente in seguito a questo fatto d’armi che il Duca decise di intraprendere importanti lavori di potenziamento del sistema difensivo valendosi dell’opera di Francesco di Giorgio Martini, famoso architetto e conoscitore della scienza militare. Frontone divenne contea nel 1530 per effetto del decreto di Francesco Maria della Rovere, Duca di Urbino, con cui donò al nobile modenese Giammaria della Porta, il Castello con tutto il suo territorio, conferendogli il titolo di Conte. Nel 1808 i della Porta furono privati di tutti i diritti, facoltà e giurisdizioni di cui godevano, tranne che del titolo nobiliare e delle proprietà private. Dopo anni di abbandono, nel 1965 il Castello fu acquistato da Dandolo Vitali che lo rivendette pochi anni dopo al Conte Ferdinando della Porta. Nel 1985 il comune di Frontone decideva di acquistarlo ed, infatti, oggi il Castello è di proprietà comunale. Dopo essere stato restaurato, ora è possibile non solo visitarlo, ma è anche disponibile per convegni, matrimoni con rito civile, banchetti (max. 150 persone), mostre e quant’altro, sempre rivolgendosi alla locale Pro Loco.
Castello Della Porta di Frontone
1 Piazzale della Rocca
Distanza Furlo - Frontone 22km - 25” Situato tra gli antichissimi centri di Cagli, Luceoli, Gubbio, Sentino e Suasa, sotto il Monte Catria, il territorio del Comune di Frontone è stato abitato fin dai tempi più remoti; Umbri, Galli, Romani, Longobardi e Franchi si susseguirono nel corso dei secoli e degli ultimi tre popoli si hanno testimonianze indiscusse del loro insediamento nel territorio di Frontone. I primi documenti che parlano del Castello e della Comunità civile di Frontone risalgono all’undicesimo secolo e la sua storia è legata a quella delle signorie di Cagli, Gubbio e Urbino. Nel 1530 il Castello ed il territorio di Frontone divenne contea del Ducato di Urbino, dono di Francesco Maria Della Rovere al nobile Gianmaria Della Porta e tale rimase fino alla abolizione delle giurisdizioni feudali per effetto dell’annessione al Regno d’Italia napoleonico (1808) abolizione poi rinnovata da Papa Pio VII (1816). Il Castello, possente costruzione arroccata sulla cima di un ripido colle, testimonia ancora un passato ricco di storia e nobiltà. Reperti archeologici attestano che questo territorio fu abitato dagli Umbri, Galli e Romani (295 a. C.); poi dai Longobardi e successivamente dai Franchi come testimoniano le preziose pergamene dei monaci Avellaniti e Camaldolesi. La storia di Frontone è legata soprattutto al suo Castello, conteso da principi e da guerrieri per il dominio delle contrade circostanti e che oggi rappresenta uno dei più chiari esempi di architettura militare dell’XI secolo. Per lunghi periodi dovette sottostare alla giurisdizione di Cagli e poi a quella di Gubbio. Dal 1291 al 1420 i veri signori di Frontone furono i Gabrielli di Gubbio. Spodestata la signoria dal Conte Guidantonio di Urbino, Frontone s’inserisce, per oltre un secolo, nella storia dell’illustre famiglia dei Montefeltro e di quella dei Della Rovere che le succedette nel possesso del Ducato di Urbino. Nel 1445 Sigismondo Malatesta di Rimini in guerra contro il Duca Federico da Montefeltro, tentò di togliergli il Castello, ma il personale intervento del duca Federico mise in fuga i Malatesta. Fu probabilmente in seguito a questo fatto d’armi che il Duca decise di intraprendere importanti lavori di potenziamento del sistema difensivo valendosi dell’opera di Francesco di Giorgio Martini, famoso architetto e conoscitore della scienza militare. Frontone divenne contea nel 1530 per effetto del decreto di Francesco Maria della Rovere, Duca di Urbino, con cui donò al nobile modenese Giammaria della Porta, il Castello con tutto il suo territorio, conferendogli il titolo di Conte. Nel 1808 i della Porta furono privati di tutti i diritti, facoltà e giurisdizioni di cui godevano, tranne che del titolo nobiliare e delle proprietà private. Dopo anni di abbandono, nel 1965 il Castello fu acquistato da Dandolo Vitali che lo rivendette pochi anni dopo al Conte Ferdinando della Porta. Nel 1985 il comune di Frontone decideva di acquistarlo ed, infatti, oggi il Castello è di proprietà comunale. Dopo essere stato restaurato, ora è possibile non solo visitarlo, ma è anche disponibile per convegni, matrimoni con rito civile, banchetti (max. 150 persone), mostre e quant’altro, sempre rivolgendosi alla locale Pro Loco.
Distanza furlo - piobbico 21km - 23” IL CASTELLO BRANCALEONI DI PIOBBICO (Provincia di Pesaro Urbino) La storia di Piobbico à intimamente connessa alla storia della famiglia comitale dei Brancaleoni, che ha dominato queste contrade per ben sette secoli, infatti il Castello Brancaleoni si è sviluppato in periodi successivi, dal 1200 al 1700. La sua costruzione è iniziata come fortezza per poi assumere, nel corso degli anni, l’aspetto e la leggiadria di un palazzo rinascimentale, ricco di affreschi, stucchi, camini, scritte in latino, greco e volgare, date e nomi, che hanno permesso di ricostruire la storia architettonica di questo grande contenitore (135 stanze). Salendo il borgo medievale si arriva alla piazza dove sorge la torre dell’orologio. La torre poggia su un voltone ad arco acuto risalente al 1200, quindi antecedente alla costruzione del primo nucleo del palazzo, testimonianza di una vecchia torre di guardia. Verso la fine del ‘500 sopra il voltone fu innalzata una torre sulla quale vennero posti due orologi, uno nella facciata rivolta al paese ed uno nella facciata rivolta verso il cortile San Carlo. Sulla facciata d’ingresso , accanto alla torre si ammira una elegante loggetta che, assieme alla balaustra, rendono la facciata meno massiccia, conferendo a tutto il complesso una raffinatezza che si addice più ad un Palazzo che ad un Castello. Infatti, questa immensa costruzione (135 stanze) si è sviluppata nei secoli, attraverso una serie di interventi, ampliamenti, fino a raggiungere l’attuale struttura in cui prevalgono i caratteri rinascimentali, ma presenta anche evidenti elementi difensivi e di sicurezza militare tipici del tardo medioevo. Superata la volta della torre dell’orologio, ci si trova nel Cortile di San Carlo denominato anche “Piazza Pubblica”. Qui si innalza maestoso e regale il portale a pietre bugnate (ingresso d’onore del palazzo) da cui si accede al corridoio a cielo aperto sormontato dallo stemma della famiglia: Leone rampante con croce seduta) con il motto di famiglia a caratteri greci “mite e fiero” e il nome del committente, Antonio II, e l’anno di costruzione in numeri romani 1587. A sinistra dell’ingresso d’onore con portale si trova l’Oratorio di San Carlo Borromeo, continuando ancora a sinistra si apre la “Via Pubblica” che porta al terzo e ultimo cortile interno. Dalla piazzetta si può notare il quadrante dell’orologio che ha i numeri in senso antiorario. La Chiesa di San Carlo a pianta ottagonale, costruito nel XVII secolo, è ricca di decorazioni, stucchi e, nella cupola, affreschi con rappresentate scene della vita del Santo, le virtù teologali e cardinali. Oltre il portale a pietre bugnate con le due feritoie laterali, si accede ai piani nobili del Palazzo per un lungo corridoio a cielo aperto con in fondo una leggiadra loggetta. Si deve al conte Antonio II la costruzione della parte più sontuosa ed artistica del Palazzo: l’Appartamento Nobile. A questo scopo egli si servì dei più celebri artisti del Ducato di Urbino, come lo stuccatore Federico Brandani e il pittore Federico Barocci. Sotto la loggetta si apre l’ingresso al Cortile d’Onore. Nel XV secolo il conte Guido (+1484), Capitano di Federico da Montefeltro, del quale godeva la stima e l’amicizia, sotto lo stimolo della cultura urbinate e della maestosità dello splendido palazzo che frequentava, diede avvio ad alcuni lavori per rendere meno arcigna, più civile l’immagine del suo fortilizio. Egli fu il primo e vero protagonista dell’introduzione della cultura umanistica a Piobbico. Come testimonia Io stemma ducale murato nella parete ovest del porticato. Il Conte Roberto (+1538) portò a termine i lavori iniziati dal padre e diede forma al Cortile d’Onore, con porticato e colonne con capitelli dorici. Questi era molto legato al Duca Guidubaldo da Montefeltro, il quale lo investì della subinfeudazione della contea di Piobbico nel 1492. L’autore del progetto del cortile è l’architetto fiorentino Baccio Pontelli. Sotto il porticato si susseguono portali con scritte latine e volgari in cui si manifesta la cultura rinascimentale. Dal Cortile d’Onore, salendo lo scalone (in piccolo ricorda lo scalone d’onore del Palazzo Ducale di Urbino), si arriva all’appartamento nobile decorato con stucchi messi in oro ad opera di Federico Brandani (+1575), lo stesso artista ha lavorato tantissimo nel Palazzo Ducale di Urbino su commissione dei Duchi Della Rovere. Sopra la porta d’ingresso all’appartamento domina lo stemma dei Farnese, chiaro tributo alla Duchessa Vittoria Farnese, moglie di Guidubardo II Duca di Urbino. Oltrepassando la porta, si accede ad un’ampia sala denominata “Sala del Leon d’Oro” poiché al centro della volta campeggia lo stemma dei Brancaleoni in stucco dorato. La porta d’ingresso è abbellita da un cartiglio in cui il Brandani ha raffigurato il Conte Antonio II a cavallo sormontato da una testa con turbante, facendo riferimento alla partecipazione del conte alla Battaglia di Lepando del 1571. Sulle porte laterali della sala, sopra l’architrave, sono raffigurate la “Felicità Pubblica” e la “Concordia”, sul camino, il “Sacrificio di Porzia”. A sinistra della Sala del Leon d’Oro è la cosiddetta “Camera Romana”, per le scene di vita romana in stucco e dipinte nella volta (Muzio Scevola, il Ratto delle Sabine, le Sabine Paciere). Qui si trovano gli affreschi del 1574 rappresentanti uno il ritratto della famiglia del Conte Antonio II, e l’altro una scena di caccia del Conte Antonio con sullo sfondo l’abitato di Piobbico con il palazzo e il borgo. Nel camerino attiguo, che era la stanza di preghiera, si ammira la Deposizione di Cristo in stucco di F.Brandani e, sulla volta, affreschi rappresentanti episodi del Vecchio Testamento. A destra della Sala del Leon d’Oro è la cosiddetta “Camera Greca”, camera del conte Antonio II, affrescata con episodi di storia e di mitologia greca (1585). Nel cartiglio al centro del soffitto è raffigurato il Giudizio di Paride, nel riquadro sopra il camino si trova “Ulisse ed Aiace che si contendono le armi di Achille”, “la gara tra Nettuno e Minerva”, “Bacco ed Arianna”, “Teti che immerge Achille nelle acque dello Stige”, ecc. Da questo ambiente si accede al camerino di preghiera del Conte con il Presepe in stucco di F.Brandani (1575). Sulla volta sono affrescati episodi della vita della Madonna. I pavimenti di queste sale sono originali e i disegni che appaiono nei mattoni e le composizioni si ritrovano nei pavimenti del Palazzo Ducale di Urbino (prodotti nella stessa fornace, ritrovata a Piobbico). L’ala ovest del palazzo è caratterizzata dalla cosiddetta “Fuga di stanze”, dove le sale poste in successione e separate dalla semplice porta, permettono di attraversare con un colpo d’occhio tutti i 150mt di lunghezza con le sue 11 stanze (tipica costruzione rinascimentale). In questa ala si trovava la “Galleria”, costruita nel 1608, l’armeria, la biblioteca, la cucina, forno, camere da letto, con soffitto in legno a cassettoni, e la sala del trono. Attraversata l’ala ovest, si arriva al secondo cortile interno, ed essendo questa la parte più antica è caratterizzato da murature di grosso spessore, le finestre a “bocca di lupo”, aperture strette, il cavedio con il pozzo. In questa corte di servizio si apre, a fianco della cisterna, un camminamento a volta che conduce all’antico castellare, dove erano le prigioni, alla “porta succursi”. Osservando le parteti si nota una serie di archi tamponati dove anticamente c’era un piccolo porticato dove si svolgeva il mercato e le stanze che vi si aprivano ospitavano i vari servizi del palazzo: bivacchi dei soldati, gli alloggiamenti dei servi e degli stallieri, le stalle, i fienili, la legnaia, i depositi. La cisterna della piazzetta, insieme a quella del cavedio (vicina alla sala delle torture) e a quella nella torre-colombaia, provvedevano al rifornimento idrico del palazzo. Uscendo dalla piazzetta, sulla destra a fianco della Via Pubblica, sono stati riportati alla luce i resti delle antiche casupole. IL MUSEO CIVICO BRANCALEONI ospitato all’interno del Castello Brancaleoni è composto da diverse sezioni: Sezione usi e costumi del territorio: Questa sezione raccoglie i mezzi e gli strumenti che permettevano di esercitare le antiche attività artigianali e agresti. Le donne erano dedite alla filatura e alla tessitura e in particolare alla lavorazione del tappeto di lana (tradizione tipica di Piobbico). La lana e i tessuti venivano tinti con colori naturali estratti dalle piante, come il “guado”, che venivano coltivati nelle colline circostanti. Gli uomini si dedicavano al taglio della legna ed alla preparazione del carbone, attraverso le tipiche carbonaie. Altre attività riguardavano la vita quotidiana: il fabbro, il maniscalco, il falegname, il calzolaio, lo scalpellino. Sezione Speleologica e Sezione Geo-Paleontologica:Con oltre 5000 reperti fossili e alcuni esemplari dell’Ursus Spelaeus, rinvenuti nel massiccio del Monte Nerone, classificati e razionalmente divisi hanno un’età compresa tra 2 e 200 milioni di anni. Qui è ospitata la ricostruzione parziale della Grotta degli Orsi e lo scheletro ricostruito di un Orso delle Caverne (Ursus Spelaeus) Sezione Ornitologica: In questa sezione domina l’aquila reale, alla quale fanno corona altri cento esemplari, dal gufo reale, allo sparviero, al barbagianni, ecc. Sezione Archeologica: Con reperti dell’età del bronzo, gallici e romani rinvenuti nel territorio di Piobbico (Bronzetti votivi, vasellame, armi, reperti ceramici e laterizi).Sezione numismatica: Con oltre mille pezzi, tra medaglie e monete in bronzo e argento, opere di G.M. Monassi incisore di medaglie commemorative e direttore della Zecca di Stato. Al centro del paese di Piobbico sorge la Chiesa di Santo Stefano (XVIII) che conserva pregevoli opere come “Il Riposo della Sacra Famiglia durante il rientro dalla Fuga in Egitto” (1570 c.) di Federico Barocci e la serie di statue di profeti e personaggi biblici, attribuiti allo stuccatore Federico Brandani (+1575).
Castle Brancaleoni of Piobbico
Via Brancaleoni
Distanza furlo - piobbico 21km - 23” IL CASTELLO BRANCALEONI DI PIOBBICO (Provincia di Pesaro Urbino) La storia di Piobbico à intimamente connessa alla storia della famiglia comitale dei Brancaleoni, che ha dominato queste contrade per ben sette secoli, infatti il Castello Brancaleoni si è sviluppato in periodi successivi, dal 1200 al 1700. La sua costruzione è iniziata come fortezza per poi assumere, nel corso degli anni, l’aspetto e la leggiadria di un palazzo rinascimentale, ricco di affreschi, stucchi, camini, scritte in latino, greco e volgare, date e nomi, che hanno permesso di ricostruire la storia architettonica di questo grande contenitore (135 stanze). Salendo il borgo medievale si arriva alla piazza dove sorge la torre dell’orologio. La torre poggia su un voltone ad arco acuto risalente al 1200, quindi antecedente alla costruzione del primo nucleo del palazzo, testimonianza di una vecchia torre di guardia. Verso la fine del ‘500 sopra il voltone fu innalzata una torre sulla quale vennero posti due orologi, uno nella facciata rivolta al paese ed uno nella facciata rivolta verso il cortile San Carlo. Sulla facciata d’ingresso , accanto alla torre si ammira una elegante loggetta che, assieme alla balaustra, rendono la facciata meno massiccia, conferendo a tutto il complesso una raffinatezza che si addice più ad un Palazzo che ad un Castello. Infatti, questa immensa costruzione (135 stanze) si è sviluppata nei secoli, attraverso una serie di interventi, ampliamenti, fino a raggiungere l’attuale struttura in cui prevalgono i caratteri rinascimentali, ma presenta anche evidenti elementi difensivi e di sicurezza militare tipici del tardo medioevo. Superata la volta della torre dell’orologio, ci si trova nel Cortile di San Carlo denominato anche “Piazza Pubblica”. Qui si innalza maestoso e regale il portale a pietre bugnate (ingresso d’onore del palazzo) da cui si accede al corridoio a cielo aperto sormontato dallo stemma della famiglia: Leone rampante con croce seduta) con il motto di famiglia a caratteri greci “mite e fiero” e il nome del committente, Antonio II, e l’anno di costruzione in numeri romani 1587. A sinistra dell’ingresso d’onore con portale si trova l’Oratorio di San Carlo Borromeo, continuando ancora a sinistra si apre la “Via Pubblica” che porta al terzo e ultimo cortile interno. Dalla piazzetta si può notare il quadrante dell’orologio che ha i numeri in senso antiorario. La Chiesa di San Carlo a pianta ottagonale, costruito nel XVII secolo, è ricca di decorazioni, stucchi e, nella cupola, affreschi con rappresentate scene della vita del Santo, le virtù teologali e cardinali. Oltre il portale a pietre bugnate con le due feritoie laterali, si accede ai piani nobili del Palazzo per un lungo corridoio a cielo aperto con in fondo una leggiadra loggetta. Si deve al conte Antonio II la costruzione della parte più sontuosa ed artistica del Palazzo: l’Appartamento Nobile. A questo scopo egli si servì dei più celebri artisti del Ducato di Urbino, come lo stuccatore Federico Brandani e il pittore Federico Barocci. Sotto la loggetta si apre l’ingresso al Cortile d’Onore. Nel XV secolo il conte Guido (+1484), Capitano di Federico da Montefeltro, del quale godeva la stima e l’amicizia, sotto lo stimolo della cultura urbinate e della maestosità dello splendido palazzo che frequentava, diede avvio ad alcuni lavori per rendere meno arcigna, più civile l’immagine del suo fortilizio. Egli fu il primo e vero protagonista dell’introduzione della cultura umanistica a Piobbico. Come testimonia Io stemma ducale murato nella parete ovest del porticato. Il Conte Roberto (+1538) portò a termine i lavori iniziati dal padre e diede forma al Cortile d’Onore, con porticato e colonne con capitelli dorici. Questi era molto legato al Duca Guidubaldo da Montefeltro, il quale lo investì della subinfeudazione della contea di Piobbico nel 1492. L’autore del progetto del cortile è l’architetto fiorentino Baccio Pontelli. Sotto il porticato si susseguono portali con scritte latine e volgari in cui si manifesta la cultura rinascimentale. Dal Cortile d’Onore, salendo lo scalone (in piccolo ricorda lo scalone d’onore del Palazzo Ducale di Urbino), si arriva all’appartamento nobile decorato con stucchi messi in oro ad opera di Federico Brandani (+1575), lo stesso artista ha lavorato tantissimo nel Palazzo Ducale di Urbino su commissione dei Duchi Della Rovere. Sopra la porta d’ingresso all’appartamento domina lo stemma dei Farnese, chiaro tributo alla Duchessa Vittoria Farnese, moglie di Guidubardo II Duca di Urbino. Oltrepassando la porta, si accede ad un’ampia sala denominata “Sala del Leon d’Oro” poiché al centro della volta campeggia lo stemma dei Brancaleoni in stucco dorato. La porta d’ingresso è abbellita da un cartiglio in cui il Brandani ha raffigurato il Conte Antonio II a cavallo sormontato da una testa con turbante, facendo riferimento alla partecipazione del conte alla Battaglia di Lepando del 1571. Sulle porte laterali della sala, sopra l’architrave, sono raffigurate la “Felicità Pubblica” e la “Concordia”, sul camino, il “Sacrificio di Porzia”. A sinistra della Sala del Leon d’Oro è la cosiddetta “Camera Romana”, per le scene di vita romana in stucco e dipinte nella volta (Muzio Scevola, il Ratto delle Sabine, le Sabine Paciere). Qui si trovano gli affreschi del 1574 rappresentanti uno il ritratto della famiglia del Conte Antonio II, e l’altro una scena di caccia del Conte Antonio con sullo sfondo l’abitato di Piobbico con il palazzo e il borgo. Nel camerino attiguo, che era la stanza di preghiera, si ammira la Deposizione di Cristo in stucco di F.Brandani e, sulla volta, affreschi rappresentanti episodi del Vecchio Testamento. A destra della Sala del Leon d’Oro è la cosiddetta “Camera Greca”, camera del conte Antonio II, affrescata con episodi di storia e di mitologia greca (1585). Nel cartiglio al centro del soffitto è raffigurato il Giudizio di Paride, nel riquadro sopra il camino si trova “Ulisse ed Aiace che si contendono le armi di Achille”, “la gara tra Nettuno e Minerva”, “Bacco ed Arianna”, “Teti che immerge Achille nelle acque dello Stige”, ecc. Da questo ambiente si accede al camerino di preghiera del Conte con il Presepe in stucco di F.Brandani (1575). Sulla volta sono affrescati episodi della vita della Madonna. I pavimenti di queste sale sono originali e i disegni che appaiono nei mattoni e le composizioni si ritrovano nei pavimenti del Palazzo Ducale di Urbino (prodotti nella stessa fornace, ritrovata a Piobbico). L’ala ovest del palazzo è caratterizzata dalla cosiddetta “Fuga di stanze”, dove le sale poste in successione e separate dalla semplice porta, permettono di attraversare con un colpo d’occhio tutti i 150mt di lunghezza con le sue 11 stanze (tipica costruzione rinascimentale). In questa ala si trovava la “Galleria”, costruita nel 1608, l’armeria, la biblioteca, la cucina, forno, camere da letto, con soffitto in legno a cassettoni, e la sala del trono. Attraversata l’ala ovest, si arriva al secondo cortile interno, ed essendo questa la parte più antica è caratterizzato da murature di grosso spessore, le finestre a “bocca di lupo”, aperture strette, il cavedio con il pozzo. In questa corte di servizio si apre, a fianco della cisterna, un camminamento a volta che conduce all’antico castellare, dove erano le prigioni, alla “porta succursi”. Osservando le parteti si nota una serie di archi tamponati dove anticamente c’era un piccolo porticato dove si svolgeva il mercato e le stanze che vi si aprivano ospitavano i vari servizi del palazzo: bivacchi dei soldati, gli alloggiamenti dei servi e degli stallieri, le stalle, i fienili, la legnaia, i depositi. La cisterna della piazzetta, insieme a quella del cavedio (vicina alla sala delle torture) e a quella nella torre-colombaia, provvedevano al rifornimento idrico del palazzo. Uscendo dalla piazzetta, sulla destra a fianco della Via Pubblica, sono stati riportati alla luce i resti delle antiche casupole. IL MUSEO CIVICO BRANCALEONI ospitato all’interno del Castello Brancaleoni è composto da diverse sezioni: Sezione usi e costumi del territorio: Questa sezione raccoglie i mezzi e gli strumenti che permettevano di esercitare le antiche attività artigianali e agresti. Le donne erano dedite alla filatura e alla tessitura e in particolare alla lavorazione del tappeto di lana (tradizione tipica di Piobbico). La lana e i tessuti venivano tinti con colori naturali estratti dalle piante, come il “guado”, che venivano coltivati nelle colline circostanti. Gli uomini si dedicavano al taglio della legna ed alla preparazione del carbone, attraverso le tipiche carbonaie. Altre attività riguardavano la vita quotidiana: il fabbro, il maniscalco, il falegname, il calzolaio, lo scalpellino. Sezione Speleologica e Sezione Geo-Paleontologica:Con oltre 5000 reperti fossili e alcuni esemplari dell’Ursus Spelaeus, rinvenuti nel massiccio del Monte Nerone, classificati e razionalmente divisi hanno un’età compresa tra 2 e 200 milioni di anni. Qui è ospitata la ricostruzione parziale della Grotta degli Orsi e lo scheletro ricostruito di un Orso delle Caverne (Ursus Spelaeus) Sezione Ornitologica: In questa sezione domina l’aquila reale, alla quale fanno corona altri cento esemplari, dal gufo reale, allo sparviero, al barbagianni, ecc. Sezione Archeologica: Con reperti dell’età del bronzo, gallici e romani rinvenuti nel territorio di Piobbico (Bronzetti votivi, vasellame, armi, reperti ceramici e laterizi).Sezione numismatica: Con oltre mille pezzi, tra medaglie e monete in bronzo e argento, opere di G.M. Monassi incisore di medaglie commemorative e direttore della Zecca di Stato. Al centro del paese di Piobbico sorge la Chiesa di Santo Stefano (XVIII) che conserva pregevoli opere come “Il Riposo della Sacra Famiglia durante il rientro dalla Fuga in Egitto” (1570 c.) di Federico Barocci e la serie di statue di profeti e personaggi biblici, attribuiti allo stuccatore Federico Brandani (+1575).
Distanza Furlo - Urbania 23km - 27” Nel 1465 Federico da Montefeltro, sceglie Casteldurante per realizzare la riserva di caccia ducale. Questo luogo, infatti, rispondeva a tutte le caratteristiche che il Barco ideale doveva possedere secondo l’architetto senese, Francesco di Giorgio Martini: un terreno molto vasto, ricco di acque e boschi e ben collegato al centro cittadino. Pensate che il duca poteva scegliere di raggiungere questo luogo percorrendo la strada tradizionale oppure, per impressionare i suoi ospiti, poteva optare per il fiume Metauro. Aveva, infatti, a disposizione, delle barche che permettevano di navigare il fiume dal suo Palazzo in centro, fino a questo terreno. Diversamente da quanto si crede, l’imponente costruzione che domina oggi il paesaggio non è il famoso casino di caccia dei Duchi di Urbino, situato a 100 metri dall’imponente struttura, ma un convento dedicato a San Giovanni Battista della seconda metà del XVIII secolo che oggi è utilizzato come Residenza Artistica e Creativa, nonché come spazio per conferenze, corsi ed eventi. Il Barco Ducale si trova a nord-ovest della Città di Urbania, a 1 km dal centro in direzione Sant’Angelo in Vado ed è possibile visitarlo contattando, almeno 24 ore prima, l’Ufficio Turismo del Comune di Urbania.
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Barco Ducale - Antica riserva di caccia ducale
Località Porta Parco
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Distanza Furlo - Urbania 23km - 27” Nel 1465 Federico da Montefeltro, sceglie Casteldurante per realizzare la riserva di caccia ducale. Questo luogo, infatti, rispondeva a tutte le caratteristiche che il Barco ideale doveva possedere secondo l’architetto senese, Francesco di Giorgio Martini: un terreno molto vasto, ricco di acque e boschi e ben collegato al centro cittadino. Pensate che il duca poteva scegliere di raggiungere questo luogo percorrendo la strada tradizionale oppure, per impressionare i suoi ospiti, poteva optare per il fiume Metauro. Aveva, infatti, a disposizione, delle barche che permettevano di navigare il fiume dal suo Palazzo in centro, fino a questo terreno. Diversamente da quanto si crede, l’imponente costruzione che domina oggi il paesaggio non è il famoso casino di caccia dei Duchi di Urbino, situato a 100 metri dall’imponente struttura, ma un convento dedicato a San Giovanni Battista della seconda metà del XVIII secolo che oggi è utilizzato come Residenza Artistica e Creativa, nonché come spazio per conferenze, corsi ed eventi. Il Barco Ducale si trova a nord-ovest della Città di Urbania, a 1 km dal centro in direzione Sant’Angelo in Vado ed è possibile visitarlo contattando, almeno 24 ore prima, l’Ufficio Turismo del Comune di Urbania.
Il Palazzo Ducale di Urbania, l'antica Casteldurante è uno dei capolavori voluto dal Duca Federico d Montefeltro, quale luogo d'arte e dello spirito, scelta come residenza di campagna dalla famiglia ducale. Il Palazzo fu costruito su una preesistenza fortificata eretta dai Brancaleoni e ubicata lungo l'ansa settentrionale del fiume Metauro. Con molta probabilità, l'architetto Francesco di Giorgio Martini progetto l'impianto generale, nel 1470; il lungo fronte scarpato a strapiombo sul mare sul fiume Metauro dona alla struttura un aspetto fortificato e difensivo; inoltre, questo lato si presenta stretto fra due caratteristici torrioni, uno semicilindrico e l'altro cilindrico, che racchiudono al suo interno una scala elicoidale, caratteristiche tipiche dello stile del Martini. L'edificio subì degli interventi successivi a opera dell'architetto Girolamo Genga, per l'ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II della Rovere, che la scelse come residenza fino alla sua morte nel 1631. L'architetto realizzò le sale del piano nobile e il camminamento sul fiume Metauro che svela un incantevole scenario sulle caratteristiche anse del fiume, sulle colline e sulla parte trecentesca di Casteldurante, con le case fondate sulle rocce di arenaria, che si ergono sul Metauro. Si accede al Palazzo Ducale attraverso lo splendido Cortile d'Onore rinascimentale, della seconda metà del '400, con un loggiato che si apre tra ventidue colonne di travertino che ricorda quello del Palazzo Ducale di Urbino. Salita la scalinata si giunge al piano nobile e qui si entra immediatamente nella Sala Maggiore con uno splendido soffitto dalle volte a vela. Questa era la sala destinata alle festività e alle solennità di corte. L'edificio ospita il Museo Civico e la Pinacoteca, il Museo di storia dell’agricoltura e artigianato, la Biblioteca e l'Archivio Storico con pregevoli raccolte di disegni, manoscritti, incisioni (tra gli autori Barocci, Zuccari, Carracci). Sede e descrizione delle raccolte Nel Museo Civico da ammirare c'è l'affascinante sala dei Cavalieri dove sono esposte delle pregevoli tele del tardo '500 e i due rari globi di Gerardo Mercatore, il più importante geografo del Rinascimento: la sfera terrestre (1541) e la sfera celeste (1551). Di grande fascino è l'incisione monumentale de "Il Corteo trionfale di Carlo V", lunga 12 metri e realizzata in occasione dell'incoronazione imperiale e del corteo a Bologna insieme al Papa Clemente VII (1530). All'interno del Palazzo si trova la Pinacoteca Comunale con una pregevole quadreria che raccoglie opere di artisti di cultura manierista. Le altre sale del museo sono riservate alle collezioni di grafica di noti maestri dal Rinascimento al '900; alle famose ceramiche di Casteldurante, prodotte tra il '400 e il '700; a una raccolta di quasi mille disegni d'età tardo-rinascimentale collezionati dai Conti Ubaldini. Negli ultimi tre decenni il museo ha visto confluire nella sua collezioni importanti donazioni, in un'ideale accordo con le opere precedenti. Da ricordare le celebrazioni avvenute nel 2008 per i 400 anni di fondazione della Biblioteca da parte dei duchi Della Rovere (1607-2007), sono stati realizzati incontri e conferenze, oltre una mostra a stampa "Nelle Stanze del duca" che esponeva rari volumi provenienti dalla prestigiosa Biblioteca Alessandrina di Roma e dalle collezioni del Fondo Antico ducale, oltre all'esposizione delle 14 schede del conclave per l'elezione di Papa Alessandro VII. Collezione Grafica Contemporanea Mino Maccari (1908 - 1989), De Chirico e la moglie, 1940 ca., collezione Galluppi La collezione d'Arte Contemporanea del Museo Civico di Urbania trae origini da donazioni private degli anni ‘90 e da un' attività espositiva che garantisce un incremento delle collezioni. Allo stato attuale la raccolta di grafica tra stampe e disegni del '900, ricca di circa cinquecento opere, è composta dalle donazioni di Renato Bruscaglia, Carlo Ceci, Nadia Maurri Poggi, Enrico Galluppi, Raimondo Rossi, Federico Melis e bottega (grafica e ceramica) e la "Collezione Istmi". Gli artisti rappresentati in queste collezioni documentano un profilo abbastanza completo della grafica marchigiana del '900 con gli autori maggiori dell’arte incisoria a partire dai fondatori della Scuola del Libro di Urbino fino agli artisti più importanti di questo ultimo decennio. Un nucleo importante è rappresentato dalla Donazione Galluppi che consta di disegni provenienti dalla rivista Il Selvaggio di cui Enrico Galluppi era il Redattore Capo. Per questa ragione artisti che hanno pubblicato le loro opere sulla rivista, da Maccari a Morandi, sono presenti in collezione. La Donazione Nadia Maurri Poggi è invece caratterizzata da un orizzonte più interregionale degli autori che la collezionista ha raccolto, spesso attraverso la loro conoscenza diretta. Così facendo ha donato al Museo di Urbania opere di: Guidi, Carmassi, Saetti, Bonechi e altri autori di primo piano dalla Patafisica al Citazionismo. La Collezione di Carlo Ceci è un dono dell’artista stesso al Museo di Urbania con incisioni e disegni suoi, dei sodali d’arte e dei migliori allievi che hanno frequentato le sue lezioni alla Scuola del Libro. Perciò vicino a Francesco Carnevali troviamo A. Ciarrocchi, Renato Bruscaglia, Leonardo Castellani, fino ai più illustri allievi come Walter Valentini. La Collezione di Istmi produce da circa dieci anni una mostra dove vengono censiti, ogni anno, cinque artisti del panorama regionale; la rivista di letteratura e arte Istmi pubblica, vicino ai saggi letterari, le opere degli incisori che sono in mostra. Allo stato attuale la documentazione riguarda le opere di cinquanta incisori che sono attivi o originari delle Marche. La Collezione di incisioni di Raimondo Rossi è il materiale di una Mostra che l’artista ha preparato ed allestito in una esposizione tra Milano e le Marche negli anni Settanta. Successivamente l’artista figurativo che si distingue per un segno lirico e veloce ha fatto donazione di tutta la mostra al Museo di Urbania. Il Fondo Federico Melis di disegni e ceramiche (con la biblioteca dell’artista) comprende anche le opere di alcuni suoi allievi (tra cui il foggiatore Vittorio Salvatori); è un esempio interessante di un revival della ceramica nella metà del secolo scorso collegata ad un aggiornamento di decori e di temi figurativi assunti dall'arte e dalla grafica contemporanea. La Donazione di acquerelli Philippe Artias, avvenuta nel 2002, è stata il tema delle mostre durantine per il 2007. Sono tuttora esposte nelle sale del Museo Civico decine di opere donate dal pittore, che è stato anche in rapporto con Picasso nei laboratori di ceramica di Vallauris, in Francia. La collezione è composta di 68 fogli, datati dal 1961 al 1995, al cui interno sono riconoscibili specifici nuclei tematici tra cui Nudo – Paesaggio, Rivoluzione Francese, figure e figure in movimento, ritratti, paesaggi, il ciclo dei Passanti e la serie realizzata nel 1972 sull’Isola di Yeu. Il Museo Civico è situato all’interno del Palazzo Ducale di Urbania, uno dei capolavori voluti dal Duca di Urbino Federico II da Montefeltro: un luogo d'arte e dello spirito che un attento restauro ha riportato all'antico splendore. Due stanze adibite ad esposizioni permanenti sono dedicate alle Donazioni Ceci e Maurri Poggi. Ogni anno si svolge la mostra degli artisti per Istmi. Consistenza della Raccolta: Donazione Galluppi: 350 opere Collezione Istmi: 50 piccole incisioni, 30 grandi incisioni Donazione Nadia Maurri Poggi: 22 opere, la donazione comprende anche un significativo corpus di quasi 1.000 manufatti di ceramica popolare Donazione Carlo Ceci: 46 opere Donazione Raimondo Rossi: 50 opere circa Fondo Federico Melis: 100 opere circa Donazione Artias: 68 fogli Le ceramiche del Museo Civico Nelle sale dedicate alle ceramiche di Casteldurante. uno dei centri più importanti nei secoli XV - XVI - XVII, sono esposti reperti dal '400 al '700 e frammenti rinvenuti in Urbania, come ad esempio boccali, ciotole, crespine, piastrelle. Inoltre, si trovano disegni di ceramisti e pittori legati all'ambiente ceramistico, come i "cartoni" utili alla realizzazione degli istoriati, dal '400 al '700, e anche un disegno del Piccolpasso, trattatista della ceramica del '500. Vi è conservata anche una notevole quantità di frammenti, frutto di recenti scavi sotto le mura. Da ricordare le opere del ceramista sardo Federico Melis a cui va il merito del rilancio della ceramica in Urbania negli anni 1950-1960. Dal 2008 il torrione coperto ospita la collezione Maurri-Poggi con oltre 1000 manufatti di terrecotte d'uso italiane. Il Museo Civico provvede costantemente alla ricerca, produzione di strumenti multimediali e pubblicazioni, organizzazione mostre sulla ceramica e sulle raccolte roveresche. Collabora, inoltre, con importanti enti, tra cui il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, e con studiosi tra cui il ceramologo Giancarlo Bojani, lo storico dell'arte John T. Spike ed altri. Infine, proseguendo nella visita si arriva alle cantine e alla suggestiva Rampa elicoidale sopra il fiume Metauro nell'interno della torre progettata da Francesco di Giorgio Martini. Attività Su richiesta visite guidate al Museo e alla raccolta. In occasione di eventi espositivi si organizzano laboratori didattici e seminariali.
Sala Montefeltro Palazzo Ducale
34 Corso Vittorio Emanuele
Il Palazzo Ducale di Urbania, l'antica Casteldurante è uno dei capolavori voluto dal Duca Federico d Montefeltro, quale luogo d'arte e dello spirito, scelta come residenza di campagna dalla famiglia ducale. Il Palazzo fu costruito su una preesistenza fortificata eretta dai Brancaleoni e ubicata lungo l'ansa settentrionale del fiume Metauro. Con molta probabilità, l'architetto Francesco di Giorgio Martini progetto l'impianto generale, nel 1470; il lungo fronte scarpato a strapiombo sul mare sul fiume Metauro dona alla struttura un aspetto fortificato e difensivo; inoltre, questo lato si presenta stretto fra due caratteristici torrioni, uno semicilindrico e l'altro cilindrico, che racchiudono al suo interno una scala elicoidale, caratteristiche tipiche dello stile del Martini. L'edificio subì degli interventi successivi a opera dell'architetto Girolamo Genga, per l'ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II della Rovere, che la scelse come residenza fino alla sua morte nel 1631. L'architetto realizzò le sale del piano nobile e il camminamento sul fiume Metauro che svela un incantevole scenario sulle caratteristiche anse del fiume, sulle colline e sulla parte trecentesca di Casteldurante, con le case fondate sulle rocce di arenaria, che si ergono sul Metauro. Si accede al Palazzo Ducale attraverso lo splendido Cortile d'Onore rinascimentale, della seconda metà del '400, con un loggiato che si apre tra ventidue colonne di travertino che ricorda quello del Palazzo Ducale di Urbino. Salita la scalinata si giunge al piano nobile e qui si entra immediatamente nella Sala Maggiore con uno splendido soffitto dalle volte a vela. Questa era la sala destinata alle festività e alle solennità di corte. L'edificio ospita il Museo Civico e la Pinacoteca, il Museo di storia dell’agricoltura e artigianato, la Biblioteca e l'Archivio Storico con pregevoli raccolte di disegni, manoscritti, incisioni (tra gli autori Barocci, Zuccari, Carracci). Sede e descrizione delle raccolte Nel Museo Civico da ammirare c'è l'affascinante sala dei Cavalieri dove sono esposte delle pregevoli tele del tardo '500 e i due rari globi di Gerardo Mercatore, il più importante geografo del Rinascimento: la sfera terrestre (1541) e la sfera celeste (1551). Di grande fascino è l'incisione monumentale de "Il Corteo trionfale di Carlo V", lunga 12 metri e realizzata in occasione dell'incoronazione imperiale e del corteo a Bologna insieme al Papa Clemente VII (1530). All'interno del Palazzo si trova la Pinacoteca Comunale con una pregevole quadreria che raccoglie opere di artisti di cultura manierista. Le altre sale del museo sono riservate alle collezioni di grafica di noti maestri dal Rinascimento al '900; alle famose ceramiche di Casteldurante, prodotte tra il '400 e il '700; a una raccolta di quasi mille disegni d'età tardo-rinascimentale collezionati dai Conti Ubaldini. Negli ultimi tre decenni il museo ha visto confluire nella sua collezioni importanti donazioni, in un'ideale accordo con le opere precedenti. Da ricordare le celebrazioni avvenute nel 2008 per i 400 anni di fondazione della Biblioteca da parte dei duchi Della Rovere (1607-2007), sono stati realizzati incontri e conferenze, oltre una mostra a stampa "Nelle Stanze del duca" che esponeva rari volumi provenienti dalla prestigiosa Biblioteca Alessandrina di Roma e dalle collezioni del Fondo Antico ducale, oltre all'esposizione delle 14 schede del conclave per l'elezione di Papa Alessandro VII. Collezione Grafica Contemporanea Mino Maccari (1908 - 1989), De Chirico e la moglie, 1940 ca., collezione Galluppi La collezione d'Arte Contemporanea del Museo Civico di Urbania trae origini da donazioni private degli anni ‘90 e da un' attività espositiva che garantisce un incremento delle collezioni. Allo stato attuale la raccolta di grafica tra stampe e disegni del '900, ricca di circa cinquecento opere, è composta dalle donazioni di Renato Bruscaglia, Carlo Ceci, Nadia Maurri Poggi, Enrico Galluppi, Raimondo Rossi, Federico Melis e bottega (grafica e ceramica) e la "Collezione Istmi". Gli artisti rappresentati in queste collezioni documentano un profilo abbastanza completo della grafica marchigiana del '900 con gli autori maggiori dell’arte incisoria a partire dai fondatori della Scuola del Libro di Urbino fino agli artisti più importanti di questo ultimo decennio. Un nucleo importante è rappresentato dalla Donazione Galluppi che consta di disegni provenienti dalla rivista Il Selvaggio di cui Enrico Galluppi era il Redattore Capo. Per questa ragione artisti che hanno pubblicato le loro opere sulla rivista, da Maccari a Morandi, sono presenti in collezione. La Donazione Nadia Maurri Poggi è invece caratterizzata da un orizzonte più interregionale degli autori che la collezionista ha raccolto, spesso attraverso la loro conoscenza diretta. Così facendo ha donato al Museo di Urbania opere di: Guidi, Carmassi, Saetti, Bonechi e altri autori di primo piano dalla Patafisica al Citazionismo. La Collezione di Carlo Ceci è un dono dell’artista stesso al Museo di Urbania con incisioni e disegni suoi, dei sodali d’arte e dei migliori allievi che hanno frequentato le sue lezioni alla Scuola del Libro. Perciò vicino a Francesco Carnevali troviamo A. Ciarrocchi, Renato Bruscaglia, Leonardo Castellani, fino ai più illustri allievi come Walter Valentini. La Collezione di Istmi produce da circa dieci anni una mostra dove vengono censiti, ogni anno, cinque artisti del panorama regionale; la rivista di letteratura e arte Istmi pubblica, vicino ai saggi letterari, le opere degli incisori che sono in mostra. Allo stato attuale la documentazione riguarda le opere di cinquanta incisori che sono attivi o originari delle Marche. La Collezione di incisioni di Raimondo Rossi è il materiale di una Mostra che l’artista ha preparato ed allestito in una esposizione tra Milano e le Marche negli anni Settanta. Successivamente l’artista figurativo che si distingue per un segno lirico e veloce ha fatto donazione di tutta la mostra al Museo di Urbania. Il Fondo Federico Melis di disegni e ceramiche (con la biblioteca dell’artista) comprende anche le opere di alcuni suoi allievi (tra cui il foggiatore Vittorio Salvatori); è un esempio interessante di un revival della ceramica nella metà del secolo scorso collegata ad un aggiornamento di decori e di temi figurativi assunti dall'arte e dalla grafica contemporanea. La Donazione di acquerelli Philippe Artias, avvenuta nel 2002, è stata il tema delle mostre durantine per il 2007. Sono tuttora esposte nelle sale del Museo Civico decine di opere donate dal pittore, che è stato anche in rapporto con Picasso nei laboratori di ceramica di Vallauris, in Francia. La collezione è composta di 68 fogli, datati dal 1961 al 1995, al cui interno sono riconoscibili specifici nuclei tematici tra cui Nudo – Paesaggio, Rivoluzione Francese, figure e figure in movimento, ritratti, paesaggi, il ciclo dei Passanti e la serie realizzata nel 1972 sull’Isola di Yeu. Il Museo Civico è situato all’interno del Palazzo Ducale di Urbania, uno dei capolavori voluti dal Duca di Urbino Federico II da Montefeltro: un luogo d'arte e dello spirito che un attento restauro ha riportato all'antico splendore. Due stanze adibite ad esposizioni permanenti sono dedicate alle Donazioni Ceci e Maurri Poggi. Ogni anno si svolge la mostra degli artisti per Istmi. Consistenza della Raccolta: Donazione Galluppi: 350 opere Collezione Istmi: 50 piccole incisioni, 30 grandi incisioni Donazione Nadia Maurri Poggi: 22 opere, la donazione comprende anche un significativo corpus di quasi 1.000 manufatti di ceramica popolare Donazione Carlo Ceci: 46 opere Donazione Raimondo Rossi: 50 opere circa Fondo Federico Melis: 100 opere circa Donazione Artias: 68 fogli Le ceramiche del Museo Civico Nelle sale dedicate alle ceramiche di Casteldurante. uno dei centri più importanti nei secoli XV - XVI - XVII, sono esposti reperti dal '400 al '700 e frammenti rinvenuti in Urbania, come ad esempio boccali, ciotole, crespine, piastrelle. Inoltre, si trovano disegni di ceramisti e pittori legati all'ambiente ceramistico, come i "cartoni" utili alla realizzazione degli istoriati, dal '400 al '700, e anche un disegno del Piccolpasso, trattatista della ceramica del '500. Vi è conservata anche una notevole quantità di frammenti, frutto di recenti scavi sotto le mura. Da ricordare le opere del ceramista sardo Federico Melis a cui va il merito del rilancio della ceramica in Urbania negli anni 1950-1960. Dal 2008 il torrione coperto ospita la collezione Maurri-Poggi con oltre 1000 manufatti di terrecotte d'uso italiane. Il Museo Civico provvede costantemente alla ricerca, produzione di strumenti multimediali e pubblicazioni, organizzazione mostre sulla ceramica e sulle raccolte roveresche. Collabora, inoltre, con importanti enti, tra cui il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, e con studiosi tra cui il ceramologo Giancarlo Bojani, lo storico dell'arte John T. Spike ed altri. Infine, proseguendo nella visita si arriva alle cantine e alla suggestiva Rampa elicoidale sopra il fiume Metauro nell'interno della torre progettata da Francesco di Giorgio Martini. Attività Su richiesta visite guidate al Museo e alla raccolta. In occasione di eventi espositivi si organizzano laboratori didattici e seminariali.
La Rocca Malatestiana di Fano sorge all'angolo nord della cinta muraria romana, della quale ha presumibilmente inglobato un torrione. La struttura era già in uso nel XIV secolo ed assunse la forma attuale per volere di Sigismondo Pandolfo Malatesta, su progetto dell'architetto Matteo Nuti: documenti di archivio narrano di consistenti lavori eseguiti a partire dal 1433, anche se l'anno di inizio lavori per la sua costruzione nelle forme attuali è stato sempre ritenuto il 1438. Il complesso si presenta a pianta quadrangolare con tre lati, tra i quali quello dove vi è l'ingresso, protetti da un fossato; da documenti di archivio risulta che l'ingresso fosse protetto da una ulteriore fortificazione esterna al fossato, il rivellino, che attualmente non è visibile ed i cui resti potrebbero essere interrati. La Rocca fu progettata seguendo i canoni difensivi "a cerchi" dettati da Leon Battista Alberti: all'interno della fortificazione principale vi era un'ulteriore struttura difensiva, la rocchetta, che inglobava a sua volta il mastio. La rocchetta e il mastio (le strutture più antiche della Rocca) erano inoltre separati dal resto mediante un fossato. Il lato nord delle mura cittadine, della Rocca, della rocchetta e del mastio coincidono. Nel 1500 il torrione Est venne ampliato, probabilmente da Antonio da Sangallo il giovane, aggiungendovi una bocca da fuoco puntata verso la porta di ingresso. La Rocca subì ingenti danni nel terremoto del 1930 e fu restaurata e riutilizzata negli anni immediatamente successivi. La rocchetta ed il mastio sono stati minati e distrutti dalle truppe naziste in fuga nell'agosto del 1944. Oggi all'interno delle mura, che sono state oggetto di restauro in varie epoche e si presentano pressoché integre nella struttura, è possibile visitare le celle, la cappellina e gli ambienti che ospitavano le stalle e le stanze in uso alle truppe.
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Rocca Malatestiana
Via della Fortezza
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La Rocca Malatestiana di Fano sorge all'angolo nord della cinta muraria romana, della quale ha presumibilmente inglobato un torrione. La struttura era già in uso nel XIV secolo ed assunse la forma attuale per volere di Sigismondo Pandolfo Malatesta, su progetto dell'architetto Matteo Nuti: documenti di archivio narrano di consistenti lavori eseguiti a partire dal 1433, anche se l'anno di inizio lavori per la sua costruzione nelle forme attuali è stato sempre ritenuto il 1438. Il complesso si presenta a pianta quadrangolare con tre lati, tra i quali quello dove vi è l'ingresso, protetti da un fossato; da documenti di archivio risulta che l'ingresso fosse protetto da una ulteriore fortificazione esterna al fossato, il rivellino, che attualmente non è visibile ed i cui resti potrebbero essere interrati. La Rocca fu progettata seguendo i canoni difensivi "a cerchi" dettati da Leon Battista Alberti: all'interno della fortificazione principale vi era un'ulteriore struttura difensiva, la rocchetta, che inglobava a sua volta il mastio. La rocchetta e il mastio (le strutture più antiche della Rocca) erano inoltre separati dal resto mediante un fossato. Il lato nord delle mura cittadine, della Rocca, della rocchetta e del mastio coincidono. Nel 1500 il torrione Est venne ampliato, probabilmente da Antonio da Sangallo il giovane, aggiungendovi una bocca da fuoco puntata verso la porta di ingresso. La Rocca subì ingenti danni nel terremoto del 1930 e fu restaurata e riutilizzata negli anni immediatamente successivi. La rocchetta ed il mastio sono stati minati e distrutti dalle truppe naziste in fuga nell'agosto del 1944. Oggi all'interno delle mura, che sono state oggetto di restauro in varie epoche e si presentano pressoché integre nella struttura, è possibile visitare le celle, la cappellina e gli ambienti che ospitavano le stalle e le stanze in uso alle truppe.
Rocca Costanza di Pesaro: Così denominata da Costanza Sforza, succeduta nel 1473 al padre Alessandro nella signoria della città , é una tipica rocca concepita secondo le esigenze di una città di pianura, addossata (ma non ancorata) ad uno dei vertici del grande quadrilatero delle mura urbiche di epoca malatestiana. La rocca stessa ha pianta quadrilatera, con torrioni circolari scarpati agli angoli, così come scarpate sono le cortine murarie di collegamento. Fu costruita a partire dal maggio-giugno del 1474 al posto di una precedente fortificazione malatestiana ed é opera del celebre architetto dalmata Luciano Laurana. Rocca Costanza Pesaro In origine era dotata di un coronamento a beccatelli, così come risulta dal noto medaglione fatto coniare dal ricordato Costanzo Sforza in occasione della posa della prima pietra, ed era inoltre munita di ponte levatoio, tutelato da un rivellino carenato e coronato di merli. Al centro, rispetto al lato di fondo del cortile quadrilatero interno, sorgeva un imponente mastio a base scarpata e difesa piombante: emergenza oggi purtroppo scomparsa, già destinata all'estrema difesa e luogo di massimo avvistamento. Rocca Pesaro Degno di nota il contrasto cromatico fra le superfici murarie a laterizio e la pietra utilizzata per le cornici delle troniere a pertugio e per quelle orizzontali atte a permettere il bardeggio delle artiglierie. La costruzione fu portata a termine da Cherubino di Giovanni da Milano nel 1483 al tempo di Giovanni Sforza il cui nome figura inciso nel fascione di pietra che sovrasta l'ingresso. Finalità Nata come costruzione di carattere militare e difensivo ma utilizzata dagli Sforza anche come sede residenziale, nel corso del tempo la rocca ha sostenuto diverse funzioni, fra cui quella di alloggio per le truppe pontificie e carcere per detenuti politici. L'uso penitenziario si é mantenuto anche dopo l'annessione della città al Regno d'Italia. Dal 1989, dopo il trasferimento del carcere nella nuova sede di Villa Fastiggi, l'edificio é in attesa di una nuova destinazione. Per quanto riguarda gli spazi di cui potrà disporre il Comune -i sotterranei - potrebbero essere destinati ad accogliere mostre ed esposizioni; la corte interna potrà ospitare iniziative legate al turismo estivo e in questo senso potrebbe forse essere impiegato anche lo spazio dei giardini esterni. Descrizione e storia dell'edificio L'uso di questa struttura non si limitava a quello di semplice luogo di fortificazione. Sfruttato dagli Sforza anche come residenza privata, il complesso é sottoposto ad opere di abbellimento condotte dall'architetto Laurana negli spazi degli appartamenti privati e in quelli del cortile interno. La struttura presenta un corpo ad U che delimita il cortile interno e ospita a livello del fossato ampie stanze e vari spazi di servizio adibiti a scuderie. Il piano superiore, che accoglieva i detenuti, ha mantenuto la divisione in celle dal 1864. Il piano interrato accoglie ampi sotterranei. Fra gli elementi artisticamente più validi della rocca, é la cappella ottocentesca con volta ad ombrello affrescata che, ancora integra, si trova nel piano un tempo riservato ai detenuti.
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Rocca Costanza degli Sforza
22 Piazzale Giacomo Matteotti
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Rocca Costanza di Pesaro: Così denominata da Costanza Sforza, succeduta nel 1473 al padre Alessandro nella signoria della città , é una tipica rocca concepita secondo le esigenze di una città di pianura, addossata (ma non ancorata) ad uno dei vertici del grande quadrilatero delle mura urbiche di epoca malatestiana. La rocca stessa ha pianta quadrilatera, con torrioni circolari scarpati agli angoli, così come scarpate sono le cortine murarie di collegamento. Fu costruita a partire dal maggio-giugno del 1474 al posto di una precedente fortificazione malatestiana ed é opera del celebre architetto dalmata Luciano Laurana. Rocca Costanza Pesaro In origine era dotata di un coronamento a beccatelli, così come risulta dal noto medaglione fatto coniare dal ricordato Costanzo Sforza in occasione della posa della prima pietra, ed era inoltre munita di ponte levatoio, tutelato da un rivellino carenato e coronato di merli. Al centro, rispetto al lato di fondo del cortile quadrilatero interno, sorgeva un imponente mastio a base scarpata e difesa piombante: emergenza oggi purtroppo scomparsa, già destinata all'estrema difesa e luogo di massimo avvistamento. Rocca Pesaro Degno di nota il contrasto cromatico fra le superfici murarie a laterizio e la pietra utilizzata per le cornici delle troniere a pertugio e per quelle orizzontali atte a permettere il bardeggio delle artiglierie. La costruzione fu portata a termine da Cherubino di Giovanni da Milano nel 1483 al tempo di Giovanni Sforza il cui nome figura inciso nel fascione di pietra che sovrasta l'ingresso. Finalità Nata come costruzione di carattere militare e difensivo ma utilizzata dagli Sforza anche come sede residenziale, nel corso del tempo la rocca ha sostenuto diverse funzioni, fra cui quella di alloggio per le truppe pontificie e carcere per detenuti politici. L'uso penitenziario si é mantenuto anche dopo l'annessione della città al Regno d'Italia. Dal 1989, dopo il trasferimento del carcere nella nuova sede di Villa Fastiggi, l'edificio é in attesa di una nuova destinazione. Per quanto riguarda gli spazi di cui potrà disporre il Comune -i sotterranei - potrebbero essere destinati ad accogliere mostre ed esposizioni; la corte interna potrà ospitare iniziative legate al turismo estivo e in questo senso potrebbe forse essere impiegato anche lo spazio dei giardini esterni. Descrizione e storia dell'edificio L'uso di questa struttura non si limitava a quello di semplice luogo di fortificazione. Sfruttato dagli Sforza anche come residenza privata, il complesso é sottoposto ad opere di abbellimento condotte dall'architetto Laurana negli spazi degli appartamenti privati e in quelli del cortile interno. La struttura presenta un corpo ad U che delimita il cortile interno e ospita a livello del fossato ampie stanze e vari spazi di servizio adibiti a scuderie. Il piano superiore, che accoglieva i detenuti, ha mantenuto la divisione in celle dal 1864. Il piano interrato accoglie ampi sotterranei. Fra gli elementi artisticamente più validi della rocca, é la cappella ottocentesca con volta ad ombrello affrescata che, ancora integra, si trova nel piano un tempo riservato ai detenuti.

Offerta gastronomica

Crescia di Frontone
Prodotto tipico dell’appennino pesarese, la Crescia, che già sostituiva il pane alla corte urbinate dei Montefeltro, vanta una ricetta che è stata tramandata per generazioni grazie alla tradizione contadina degli abitanti del borgo di Frontone. Da non confondere con la piadina, la Crescia, più morbida e gustosa, può accompagnare perfettamente, o essere farcita con salumi, erbe, verdure lessate o tutto ciò che può stuzzicare. La Crescia in graticola, così chiamata perché cucinata a Frontone direttamente sui carboni ardenti, può anche rappresentare un pasto gustoso ed è saporita anche gustata da sola. Sembra che alcuni segreti di una buona Crescia siano nella scelta di ingredienti genuini, nello spennellare con strutto di maiale da entrambe le parti, di girarla velocemente per evitare che bruci eccessivamente, o che diventi troppo dura, durante la cottura e di aggiungere del pecorino grattugiato all’impasto. La Crescia di Frontone ha ottenuto la denominazione comunale di origine e viene festeggiata nel borgo durante la Festa della Crescia e dello Spignolo, organizzata dalla Pro Loco ogni fine maggio. Ingredienti 500 g di farina di grano tenero 00 1 bicchiere d’acqua 100g di strutto 2 uova Sale e pepe qb
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Frontone
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Prodotto tipico dell’appennino pesarese, la Crescia, che già sostituiva il pane alla corte urbinate dei Montefeltro, vanta una ricetta che è stata tramandata per generazioni grazie alla tradizione contadina degli abitanti del borgo di Frontone. Da non confondere con la piadina, la Crescia, più morbida e gustosa, può accompagnare perfettamente, o essere farcita con salumi, erbe, verdure lessate o tutto ciò che può stuzzicare. La Crescia in graticola, così chiamata perché cucinata a Frontone direttamente sui carboni ardenti, può anche rappresentare un pasto gustoso ed è saporita anche gustata da sola. Sembra che alcuni segreti di una buona Crescia siano nella scelta di ingredienti genuini, nello spennellare con strutto di maiale da entrambe le parti, di girarla velocemente per evitare che bruci eccessivamente, o che diventi troppo dura, durante la cottura e di aggiungere del pecorino grattugiato all’impasto. La Crescia di Frontone ha ottenuto la denominazione comunale di origine e viene festeggiata nel borgo durante la Festa della Crescia e dello Spignolo, organizzata dalla Pro Loco ogni fine maggio. Ingredienti 500 g di farina di grano tenero 00 1 bicchiere d’acqua 100g di strutto 2 uova Sale e pepe qb